RAPPORTO ISMEA SUI CONSUMI ALIMENTARI NEL 2020

17 Mar RAPPORTO ISMEA SUI CONSUMI ALIMENTARI NEL 2020

Non tutte le filiere dell’agroalimentare sono state toccate in egual misura dalla crisi innescata dalla pandemia. Secondo il IV° Rapporto dedicato realizzato dall’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) alla domanda e offerta dei prodotti alimentari nell’emergenza Covid-19, ci sono stati comparti come l’ortofrutta fresca e trasformata, quello dell’olio di oliva, e della pasta, che hanno potuto contare su una compensazione del calo delle vendite Ho.re.ca. (-42% stimato), grazie all’ incremento record degli acquisti tra le mura domestiche (+7,4% secondo l’osservatorio Ismea-Nielsen).

Tutti i settori merceologici hanno contribuito alla crescita, ma alcuni in modo particolare. La spesa per le uova (categoria con la migliore prestazione) è cresciuta nell’anno del 15%. Quella per la carne del 10% circa, come i formaggi; il latte ha visto un +3,9%, trainato da quello a lunga conservazione, mentre il fresco ha registrato un -5%. I salumi sono cresciuti dell’8,3%. L’andamento del pesce è sotto la media: lieve calo per il fresco, mentre il surgelato registra un +16%; questo perché i prodotti ittici sono considerati più “difficili” e meno adatti a fare scorte, tranne i surgelati.

La spesa per gli ortaggi è cresciuta del 9%. Bisogna notare la flessione dei prodotti di IV gamma, pronti per il consumo (le insalate in busta), divenuti inutili visto il tempo a disposizione, mentre crescono patate, surgelati e prodotti a base di pomodoro. La frutta ha fatto un balzo del 9% circa, anche se la crescita è da imputare all’aumento dei prezzi più che a quello dei volumi. Gli agrumi sono al +15,5% e i succhi di frutta in flessione. Non potendo uscire a cena o per l’aperitivo, è cresciuta la spesa per le bevande alcoliche, con la birra al +11,2% e il settore vini e spumanti al +8,1%. Per quanto riguarda i derivati dei cereali, il pane fresco ha visto una flessione (-8%), come pure i dolci da ricorrenza (-12%), mentre le farine hanno registrato un +38%, i primi piatti pronti +15%, le pizze surgelate +10,5% e la pasta +8,9.

La pandemia ha accelerato la tendenza alla deglobalizzazione. Se da un lato il sushi, il pokè e le altre specialità “esotiche” sono sempre più diffuse, da diversi anni è in atto una forte rivalutazione del “mangiare locale”. I prodotti made in Italy o legati a territori particolari hanno molto successo, così come i mercati contadini e gli acquisti dai produttori. La necessità di non allontanarsi da casa, durante il lockdown, ha fatto sì che diminuissero gli affari nei grandi centri commerciali (posti di solito fuori città) a favore dei piccoli supermercati di quartiere e dei negozi di vicinato, così siamo tornati dal macellaio e dal fruttivendolo.

È da notare anche il successo dei discount che durante il 2020 hanno incrementato le vendite del 9,5%, conquistando il 15% del mercato.

Il calo degli affari della ristorazione internazionale ha fatto sentire il suo peso anche sulle esportazioni agroalimentari che, dopo il +7% del 2019, nei primi undici mesi del 2020 hanno rallentato, fino a segnare un aumento dell’1,7% su base annua che, tuttavia, si confronta con quasi -10% dell’export totale nazionale.

A contribuire a questa crescita, seppur contenuta, delle esportazioni sono stati prodotti come pasta, riso, olio d’oliva e conserve di pomodoro per i quali la domanda da parte dei Paesi esteri si è mantenuta sempre sostenuta. La contemporanea flessione delle importazioni in particolare per le materie prime, per i prodotti ittici, da forno e i formaggi, ha portato in attivo per oltre 3 miliardi di euro la bilancia commerciale agroalimentare italiana.  Anche comparti in deficit strutturale come l’olio d’oliva e il lattiero-caseario hanno invertito il segno.

A questo link potete trovare e scaricare il rapporto completo ISMEA